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Tanzania: parte il progetto in aiuto di 10mila disabili

tanzania

L’associazione ‘Comunità solidali nel mondo- Onlus’ ha attivato nel 2009 il centro di riabilitazione Inuka (Alza la testa – www.inuka.it/inuka/progetto-inuka.html) in una regione del Sud-Ovest della Tanzania, facendosi carico di 1.300 bambini disabili. Ora vuole replicare la stessa esperienza nella capitale della Tanzania con il nuovo progetto ‘All inclusive’, per costruire da febbraio un centro di riabilitazione proprio a Dar Es Salaam: una metropoli di oltre 3 milioni di abitanti, dove i bisogni dei bambini disabili e delle loro famiglie sono ancora più urgenti. “Il numero totale dei beneficiari previsto dall’intervento è di circa 10.000 persone.

Il finanziamento del ministero degli Affari esteri copre solo una parte delle necessità e per procedere abbiamo bisogno dell’aiuto dei privati, poiché mancano 35.000 euro per la palestra e l’attrezzatura interna che vorremmo realizzare”. È questo l’appello di Michelangelo Chiurchiù, presidente della Onlus, che alla Dire racconta il lavoro portato avanti in Tanzania in applicazione della legge italiana 125/2014 sulla cooperazione: “I Paesi a Sud del mondo sono partner e noi dovremmo aiutarli ad acquisire tutte le competenze per renderli protagonisti”.

La Ong coinvolge anche i giovani: “Mi riferisco a quanti hanno svolto il servizio civile in Tanzania e hanno lavorato in supporto a Inuka- aggiunge il presidente-, frutto della mia esperienza nel settore. Sono stato, infatti, per sei anni direttore della Comunità Capodarco di Roma per disabili fisici e mentali”. Chiurchiù è anche presidente del Cesc project – coordinamento enti di servizio civile. Il centro di riabilitazione Inuka è promotore di una metodologia di lavoro precisa: “La riabilitazione è su base comunitaria ed è stata portata in un villaggio rurale dell’Africa Sud Occidentale della Tanzania (Wanging’ombe), a 800 km dalla capitale. I 1.300 bambini disabili presi in carico sono per la maggior parte minori con disabilità psichica, spesso con paralisi cerebrali dovute a problemi di parto. Di fatto vivevano chiusi nelle capanne, stigmatizzati dall’assenza di una cultura sulla disabilità”. Nel suo lavoro la Onlus segue le indicazioni dell’Onu e dell’Oms: “I nostri progetti operano rispettando sempre la cultura locale, coinvolgendo i villaggi, le famiglie e le autorità locali. Tutta le attività sono concepite e organizzate per dare competenza alle famiglie- continua il presidente-, spesso solo alle mamme dal momento che nel 35% dei casi i padri scompaiono se hanno figli disabili. Inoltre, sia l’Onu che l’Oms si battono contro le istituzionalizzazioni per protendere verso la metodologia di intervento da noi proposta: la riabilitazione su base comunitaria”.

L’approccio di ‘Solidali nel mondo’ è teso ad attuare la legge del governo tanzaniano ‘The persons with disabilities act’ del 2010, rimasta inattesa per mancanza di risorse. “Questa norma ha come obiettivo l’inclusione complessiva: scolastica, lavorativa e sociale”. Il centro di riabilitazione del Wanging’ombe è collegato a 6 centri diurni periferici stanziati a 20-25 km di distanza. Sono coinvolti in totale 40 operatori di base e professionalizzati, e a coordinare il tutto è un prete locale, della diocesi, “supportato da un nostro cooperante in loco per dare continuità al progetto”. Ogni anno il centro madre programma tre settimane di trattamento intensivo “per raccogliere i bambini dei centri diurni periferici e portare avanti trattamenti individuali, collettivi e madre-bambino affinché le mamme imparino ad operare anche da sole a casa”. Alla base di tutto c’è sempre il progetto individuale e la condivisione con le autorità locali: INUKA ha un Board di 8 persone formato da esponenti delle autorità locali, della Diocesi locale e della Ong italiana. Tutti i progetti di cooperazione internazionale devono essere sostenibili: “Il 40% del nostro budget annuale deve essere sovvenzionato dal governo; il 30% dai beneficiari (le famiglie); il restante 30% dalle attività generatrici di reddito (Income Generating Activities – IGA). Infatti abbiamo creato accanto al centro un oleificio che fornisce attualmente il 12% del budget. Al momento dal governo e dalla diocesi arrivano un altro 25% di aiuti, mentre dalle famiglie un ulteriore 30%”, conferma Chiurchiù. ‘All inclusive: Kawe Road’ è il nuovo obiettivo.

“I disabili nella Capitale della Tanzania sono circa l’8-10% della popolazione (300.000 persone), e tra questi ci sono 90.000 bambini (il 30%) di cui nessuno si occupa. Per aiutarli abbiamo deciso di costruire nel quartiere periferico di Kawe, con il supporto di una congregazione di suore italiane (e tanzaniane) , un nuovo centro di riabilitazione. Il progetto è stato approvato 15 giorni fa e prevede una palestra, gli uffici, operatori di base formati e professionisti da noi intercettati per dare tutti insieme risposte efficienti ai bambini con disabilità mentale a Dar es Salaam“. Nei tre anni dell’intervento “si prevede la presa in carico di almeno 3.000 bambini e adolescenti con disabilità di età inferiore ai 18 anni e di ambo i sessi. Tra i beneficiari diretti figurano anche i familiari dei pazienti presi in carico nel progetto e le comunità alle quali appartengono”. Il governo in Tanzania è “determinato ad attivare, sulla base delle nostre sollecitazioni e di una ricerca condotta con l’Università La Sapienza di Roma, questi centri in tutto il Paese- conclude Chiurchiù- noi non possiamo gestire questa realtà a 800 km di distanza”.

Sono aperte le donazioni. Al link che segue è possibile effettuare una donazione per sostenere il progetto: www.solidalinelmondo.org/main/natale-2016

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