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Volontariato, la storia dei 6 milioni di italiani votati al bene comune

E’ stato presentato alla Camera il volume “Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni”, a cura di Riccardo Guidi, Ksenija Fonovi e Tania Cappadozzi (Bologna, Il Mulino, 2016), che approfondisce i caratteri e i significati dell’azione volontaria in Italia attraverso un lavoro collettivo e prospettive di diverse discipline. Presenta analisi e risultati inediti. Esce in un momento cruciale, mentre il Governo sta definendo i decreti attuativi della Riforma del Terzo Settore. Il libro ha carattere dirompente: non esiste attualmente un altro contributo scientifico accessibile al grande pubblico che affronti lo stesso tema su una base statistica. In Italia 6,63 milioni (12,6%) di persone si impegnano gratuitamente per gli altri o per il bene comune: 4,14 milioni (7,9%) degli italiani lo fanno all’interno di organizzazioni e 3 milioni (5,8%) individualmente (dati Istat 2013).

I PROFILI DEI VOLONTARI ORGANIZZATI

Le loro 7 anime. Chi sono le persone che fanno muovere il Terzo Settore? I volontari che svolgono la loro attività all’interno delle associazioni sono 4,14 milioni (7,9% degli italiani). Un mondo eterogeneo in cui sono stati distinti sette profili di volontari: i fedelissimi dell’assistenza (il 29,6% dei volontari organizzati, 1.228 mila persone), le educatrici di ispirazione religiosa (il 25% dei volontari organizzati, 1.036 mila persone), i pionieri (il 13,6% dei volontari organizzati, 561 mila persone), gli investitori in cultura (il 10,3% dei volontari organizzati, 427 mila persone), i volontari laici dello sport (l’8,9% dei volontari organizzati, 368 mila persone), i donatori di sangue (l’8% dei volontari organizzati, 333 mila persone) e gli stacanovisti della rappresentanza (il 4,6% dei volontari organizzati, 190 mila persone).

I fedelissimi dell’assistenza. Dedicano mezza giornata alla settimana a chi ha bisogno di aiuto nel campo dei servizi sociali, della protezione civile e della sanità.

Le educatrici di ispirazione religiosa. Si dedicano alle attività educative e alla catechesi; un impegno settimanale vissuto come stile di vita, in particolare per le donne del Sud.

I pionieri. Laici ed istruiti, sperimentano modalità di impegno per l’ambiente e la collettività ai margini delle modalità organizzative tradizionali.

Gli investitori in cultura. Mettono a disposizione competenze professionali specializzate e offrono supporto organizzativo per iniziative culturali e ricreative.

I volontari laici dello sport. Sono allenatori e dirigenti di associazioni sportive dilettantistiche.

I donatori di sangue. Per lo più maschi, occupati, genitori e in buona salute, fidelizzati all’associazione; si mettono a disposizione una volta al mese.

Gli stacanovisti della rappresentanza. Sono dirigenti e organizzatori di associazioni che si occupano di politica, attività sindacale e tutela dei diritti; per un terzo è un impegno a tempo pieno.

I PROFILI DEI VOLONTARI INDIVIDUALI  

Caratteri salienti e profili dei volontari. Non di sole associazioni vive il volontariato: impegno diretto per gli altri o per la collettività
Per la prima volta in Italia conosciamo chi si impegna gratuitamente a beneficio di persone al di là della propria famiglia o per la collettività e ambiente. Sono volontari che non operano all’interno di organizzazioni ma in modo informale. Il tasso di volontariato individuale è del 5,8%: sono 3 milioni gli italiani che si impegnano gratuitamente per gli altri in maniera diretta e non attraverso le organizzazioni. Sono stati individuati quattro profili di volontari individuali: quelli che… danno una mano (il 34,2% dei volontari individuali, 852mila persone), quelle che… senza come si farebbe (il 28,4% dei volontari individuali, 707 mila persone), quelli che… scelgono di fare da soli (al 27,6% dei volontari individuali, 688mila persone), quelli che… per donare vanno diritti all’ospedale (il 9,9% dei volontari individuali, 246mila persone).

Quelli che… danno una mano. Offrono aiuto in casa o per pratiche burocratiche; rappresentano la ‘filiera corta’ dell’attivazione delle reti di prossimità.

Quelle che… senza come si farebbe. Offrono assistenza qualificata a persone in difficoltà; è una relazione di aiuto duratura, un vero e proprio servizio complementare all’autogestione famigliare. L’attività di cura è svolta in prevalenza da donne: la maggior parte (69,9%) lo fa per almeno 10 ore al mese, una su cinque (20,5%) per più di 40 ore al mese.

Quelli che… scelgono di fare da soli. Sono per lo più laureati, professionisti, impegnati con continuità (42,2% da oltre dieci anni, 17,5% da cinque a nove anni) per l’ambiente o cultura; rispetto ai volontari impegnati nelle organizzazioni, il tempo dedicato è minore (da due a quattro ore al mese).

Quelli che… per donare vanno diritti all’ospedale. Sono i donatori di sangue che dedicano un’ora al mese al di fuori delle associazioni. Per i donatori di sangue, la condizione socio-culturale influenza la decisione fra essere volontari individuali o volontari in associazione. Il profilo del donatore è straordinariamente simile tra chi dona il sangue attraverso le associazioni e chi lo fa in maniera diretta: maschio, fasce centrali di età, genitore, lavora, in buona salute, scarsa frequenza dei luoghi di culto. Dove origina quindi la differenziazione tra i donatori individuali e i volontari delle associazioni per la donazione del sangue? Nella condizione socio-culturale. Infatti il tipico donatore individuale fa l’operaio, non partecipa ad eventi culturali e non legge libri o quotidiani.

GLI ANTECEDENTI DELL’AZIONE VOLONTARIA

Più risorse, più attivismo. Proprio dall’analisi dei fattori che influenzano la probabilità di fare volontariato scaturiscono risultati tra i più importanti del volume. I cosiddetti ‘antecedenti’ dell’azione volontaria sono misurati per la prima volta in Italia in modo sistematico e rigoroso su un campione nazionale.

Più cultura, più volontariato. Non è vero che il volontariato è un’attività riservata ai ricchi. Spesso la letteratura scientifica e l’opinione comune associano l’impegno volontario allo status socio-economico alto: l’impegno gratuito è considerato un lusso che si possono concedere solo i benestanti. Ma la ricerca attesta che non sono le risorse economiche la variabile determinante per accrescere le probabilità che una persona faccia volontariato, bensì le risorse socio-culturali: titolo di studio, abilità digitali, partecipazione culturale. Maggiori risorse socio-culturali si traducono in via lineare in una maggiore propensione al fare volontariato.
Per cui, più aumenta il numero di laureati e il numero di persone ricettive alla cultura e più aumenta il tasso di volontariato e il numero di cittadini che aiutano il prossimo e investono nel bene comune. Da qui deriva una precisa indicazione politica: per far crescere la solidarietà e l’impegno civico è di primaria importanza investire nell’educazione, nell’istruzione universitaria e nella cultura.

L’incentivo più forte: l’identità religiosa. Condividere un’identità religiosa forte è il fattore che maggiormente determina la propensione all’impegno volontario in un’organizzazione. Lo stesso vale per i volontari individuali, dato fino a questo volume mai dimostrato.

GLI IMPATTI DELL’AZIONE VOLONTARIA

Il volume raccoglie inedite analisi sull’impatto che il volontariato ha su alcune componenti sociali di rilievo. Per la prima volta in Italia, sulla base dei dati statistici, vengono date risposte a due domande cruciali: che senso ha il volontariato, cosa produce? E qual è il contributo dell’impegno gratuito dei cittadini alla società, alla coesione sociale ed economica delle comunità, alla democrazia?

Chi fa volontariato sta meglio. Svolgere attività di volontariato incrementa le probabilità di essere molto soddisfatti della propria vita in soggetti anche molto diversi tra loro dal punto di vista del reddito, del livello di istruzione, del luogo di residenza, dell’affiliazione religiosa o di disposizioni personali come la propensione individuale all’ottimismo. Questo vale a prescindere dal contesto organizzativo, anche per chi si impegna individualmente. Di particolare rilievo l’impatto positivo sul benessere degli anziani (il 50,4% dei volontari organizzati sopra i 65 anni si dichiara molto soddisfatto della propria vita). La quantità (del volontariato) aumenta la qualità (della vita): punteggi più alti di soddisfazione registrano i volontari attivi da più di 10 anni e quanti si impegnano in più di una associazione. Quanto si sentono soddisfatti con la propria vita: volontari individuali, volontari organizzati, non volontari

Scuola di democrazia. Fare volontariato e partecipare ad associazioni ha un effetto di socializzazione alla partecipazione politica, soprattutto per le classi sociali più svantaggiate. Partecipazione politica ‘visibile’: la partecipazione a cortei o a comizi, alle riunioni e/o alle attività di un partito, la tendenza a parlare di politica ogni giorno. Partecipazione politica ‘latente’: la tendenza a informarsi della vita politica e la disponibilità ad assistere a dibattiti politici.

La forza di una relazione. Chi fa volontariato è più inclinato a fidarsi di altri: la gratuità stimola forme di collaborazione orizzontale tra individui. Il tasso di fiducia interpersonale dei volontari (35,8%) svetta su quello chi non fa volontariato (20,6%). I volontari mostrano più fiducia anche nelle istituzioni: l’indice medio di fiducia è stato calcolato al punteggio di 4,7 rispetto a 4,4 dei non volontari. Ma la relazione dell’impegno gratuito con la fiducia nelle istituzioni, viste come enti gerarchici che richiedono una adesione fideistica, è di gran lunga più debole rispetto a quella interpersonale. Il volume, come emerge, non si limita a studiare il fenomeno volontariato. Ma, attraverso le analisi multidisciplinari dell’azione volontaria, getta nuovi fasci di luce per leggere l’Italia. O meglio, le molte Italie.

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