L’associazione ‘Comunità solidali nel mondo- Onlus’ ha attivato nel 2009 il centro di riabilitazione Inuka (Alza la testa – www.inuka.it/inuka/progetto-inuka.html) in una regione del Sud-Ovest della Tanzania, facendosi carico di 1.300 bambini disabili. Ora vuole replicare la stessa esperienza nella capitale della Tanzania con il nuovo progetto ‘All inclusive’, per costruire da febbraio un centro di riabilitazione proprio a Dar Es Salaam: una metropoli di oltre 3 milioni di abitanti, dove i bisogni dei bambini disabili e delle loro famiglie sono ancora più urgenti. “Il numero totale dei beneficiari previsto dall’intervento è di circa 10.000 persone.

Il finanziamento del ministero degli Affari esteri copre solo una parte delle necessità e per procedere abbiamo bisogno dell’aiuto dei privati, poiché mancano 35.000 euro per la palestra e l’attrezzatura interna che vorremmo realizzare”. È questo l’appello di Michelangelo Chiurchiù, presidente della Onlus, che alla Dire racconta il lavoro portato avanti in Tanzania in applicazione della legge italiana 125/2014 sulla cooperazione: “I Paesi a Sud del mondo sono partner e noi dovremmo aiutarli ad acquisire tutte le competenze per renderli protagonisti”.

La Ong coinvolge anche i giovani: “Mi riferisco a quanti hanno svolto il servizio civile in Tanzania e hanno lavorato in supporto a Inuka- aggiunge il presidente-, frutto della mia esperienza nel settore. Sono stato, infatti, per sei anni direttore della Comunità Capodarco di Roma per disabili fisici e mentali”. Chiurchiù è anche presidente del Cesc project – coordinamento enti di servizio civile. Il centro di riabilitazione Inuka è promotore di una metodologia di lavoro precisa: “La riabilitazione è su base comunitaria ed è stata portata in un villaggio rurale dell’Africa Sud Occidentale della Tanzania (Wanging’ombe), a 800 km dalla capitale. I 1.300 bambini disabili presi in carico sono per la maggior parte minori con disabilità psichica, spesso con paralisi cerebrali dovute a problemi di parto. Di fatto vivevano chiusi nelle capanne, stigmatizzati dall’assenza di una cultura sulla disabilità”. Nel suo lavoro la Onlus segue le indicazioni dell’Onu e dell’Oms: “I nostri progetti operano rispettando sempre la cultura locale, coinvolgendo i villaggi, le famiglie e le autorità locali. Tutta le attività sono concepite e organizzate per dare competenza alle famiglie- continua il presidente-, spesso solo alle mamme dal momento che nel 35% dei casi i padri scompaiono se hanno figli disabili. Inoltre, sia l’Onu che l’Oms si battono contro le istituzionalizzazioni per protendere verso la metodologia di intervento da noi proposta: la riabilitazione su base comunitaria”.

L’approccio di ‘Solidali nel mondo’ è teso ad attuare la legge del governo tanzaniano ‘The persons with disabilities act’ del 2010, rimasta inattesa per mancanza di risorse. “Questa norma ha come obiettivo l’inclusione complessiva: scolastica, lavorativa e sociale”. Il centro di riabilitazione del Wanging’ombe è collegato a 6 centri diurni periferici stanziati a 20-25 km di distanza. Sono coinvolti in totale 40 operatori di base e professionalizzati, e a coordinare il tutto è un prete locale, della diocesi, “supportato da un nostro cooperante in loco per dare continuità al progetto”. Ogni anno il centro madre programma tre settimane di trattamento intensivo “per raccogliere i bambini dei centri diurni periferici e portare avanti trattamenti individuali, collettivi e madre-bambino affinché le mamme imparino ad operare anche da sole a casa”. Alla base di tutto c’è sempre il progetto individuale e la condivisione con le autorità locali: INUKA ha un Board di 8 persone formato da esponenti delle autorità locali, della Diocesi locale e della Ong italiana. Tutti i progetti di cooperazione internazionale devono essere sostenibili: “Il 40% del nostro budget annuale deve essere sovvenzionato dal governo; il 30% dai beneficiari (le famiglie); il restante 30% dalle attività generatrici di reddito (Income Generating Activities – IGA). Infatti abbiamo creato accanto al centro un oleificio che fornisce attualmente il 12% del budget. Al momento dal governo e dalla diocesi arrivano un altro 25% di aiuti, mentre dalle famiglie un ulteriore 30%”, conferma Chiurchiù. ‘All inclusive: Kawe Road’ è il nuovo obiettivo.

“I disabili nella Capitale della Tanzania sono circa l’8-10% della popolazione (300.000 persone), e tra questi ci sono 90.000 bambini (il 30%) di cui nessuno si occupa. Per aiutarli abbiamo deciso di costruire nel quartiere periferico di Kawe, con il supporto di una congregazione di suore italiane (e tanzaniane) , un nuovo centro di riabilitazione. Il progetto è stato approvato 15 giorni fa e prevede una palestra, gli uffici, operatori di base formati e professionisti da noi intercettati per dare tutti insieme risposte efficienti ai bambini con disabilità mentale a Dar es Salaam“. Nei tre anni dell’intervento “si prevede la presa in carico di almeno 3.000 bambini e adolescenti con disabilità di età inferiore ai 18 anni e di ambo i sessi. Tra i beneficiari diretti figurano anche i familiari dei pazienti presi in carico nel progetto e le comunità alle quali appartengono”. Il governo in Tanzania è “determinato ad attivare, sulla base delle nostre sollecitazioni e di una ricerca condotta con l’Università La Sapienza di Roma, questi centri in tutto il Paese- conclude Chiurchiù- noi non possiamo gestire questa realtà a 800 km di distanza”.

Sono aperte le donazioni. Al link che segue è possibile effettuare una donazione per sostenere il progetto: www.solidalinelmondo.org/main/natale-2016

Potenziare la continuità assistenziale ospedale-territorio, realizzando servizi integrativi di assistenza socio-sanitaria a favore di disabili gravi e anziani con temporanea limitazione dell’autonomia o a rischio di non autosufficienza, per un periodo di tre settimane dopo la dimissione ospedaliera, da fruire con buoni servizio. Questo -l’obiettivo del bando finanziato con fondi del Por Fse 2014-2020 (asse B “Inclusione sociale e lotta alla poverta’”) per un totale di 9 milioni, che e’ stato presentato oggi dall’assessore regionale toscano a diritto alla salute, sociale e sport Stefania Saccardi e dai funzionari regionali competenti.

Il bando, pubblicato sul Burt n.48 del 30 novembre, resta aperto fino al 30 dicembre 2016. Possono presentare domanda le Societa’ della salute per le zone-distretto dove sono formalmente costituite e Associazioni temporanee di soggetti pubblici. “La Regione- ha detto l’assessore Saccardi- ha lanciato questo bando perche’ vogliamo sostenere e accompagnare, con prestazioni e servizi socio-sanitari tempestivi fruibili tramite ‘buoni servizio’, persone con particolari fragilita’, cioe’ anziani over 65 che hanno problemi temporanei di autonomia o sono a rischio di non autosufficienza, e disabili gravi, per facilitarne il rientro a casa in seguito alla dimissione dall’ospedale o da una struttura pubblica di cure intermedie o riabilitative. Oltre a diminuire gli interventi residenziali, questa nuova modalita’ di approccio favorisce anche l’effettiva costituzione in tutte le zone-distretto dell’Agenzia di continuita’ ospedale-territorio e punta a omogeneizzare a livello regionale gli interventi finanziabili con buoni servizio”.

I beneficiari dei servizi di assistenza socio-sanitaria e dei buoni servizio sono da un lato persone anziane di eta’ superiore a 65 anni, con limitazione temporanea dell’autonomia o a rischio di non autosufficienza, dimessi da un ospedale o da strutture pubbliche di cure intermedie o riabilitative, residenti in Toscana e individuate in base a valutazione dell’Agenzia di continuita’ ospedale-territorio. Dall’altro si tratta di disabili gravi, anch’essi in dimissione da un ospedale o da strutture pubbliche di cure intermedie o riabilitative presenti sul territorio regionale. Il numero minimo di persone per le quali si prevede una presa in carico a seguito di una valutazione multidisciplinare e di un Piano individualizzato e’ circa 7.000. Il numero minimo di buoni servizio che saranno assegnati e’ 5.167. Per ogni singolo buono servizio possono essere attivati interventi per un massimo di 1.500 euro, e ad ogni singolo beneficiario non potra’ essere assegnato piu’ di un buono servizio.

«Non è stato un ripensamento il ritorno alla decontribuzione piena per il 2017 riservata agli under 24 e ai disoccupati con almeno sei mesi senza lavoro del Sud», dice Tommaso Nannicini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e coordinatore di uno staff di economisti ed esperti che ha lavorato parecchio alla definizione della manovra attualmente in discussione in Parlamento. «Il ministro Poletti aveva già annunciato che nella legge di Bilancio 2017 ci sarebbero stati obiettivi di politica economica specifici per l’occupazione dei giovani. Il premier ha potuto annunciare il provvedimento dopo che l’iter della misura era stato formalizzato nella fase istruttoria con i pareri necessari, a cominciare da quello del direttore dell’Agenzia per il lavoro», aggiunge.

Soldi già del Sud, però…
«Certo. Sono risorse del Mezzogiorno che verranno spesi nelle regioni del Sud avendo dimostrato, come era già accaduto nella prima fase del Jobs act, che possono produrre risposte concrete e positive».

Ma solo per il 2017…
«Non +è un numero a caso quello dei 12 mesi durante i quali la decontribuzione potrà essere attuata. È il completamento di un percorso iniziato nel 2015 con lo sgravio di durata triennale e proseguito lo scorso ano con una durata biennale. Da 36 a 24 a 12 mesi: è un disegno preciso, un decalage nell’utilizzo di questi incentivi che ha come obiettivo finale quello già annunciato tra gli impegni prioritari di politica economica del nostro governo: ovvero, il taglio strutturale nel 2018 del cuneo contributivo sul lavoro».

Quindi per la decontribuzione il 2017 sarà l’ultimo anno?
«Assolutamente sì».

C’è chi mette in guardia dal rischio di drogare, per così dire, il mercato del lavoro garantendo posti che l’attuale scenario economico in realtà non richiede: che ne pensa?
«Intanto, parliamo di un incentivo temporaneo che vuole dare un segnale forte al mercato del lavoro e contribuire a spingere in direzione dei contratti a tempo indeterminato. Noi crediamo che le imprese debbano determinare un nuovo equilibrio utilizzando anche questo strumento. Il mercato del lavoro al contrario sarebbe drogato se gli incentivi fossero strutturali».

La manovra sembra fata su misura per le imprese: incentivi, superammortamenti e così via…
«Mi fa piacere che me lo chieda perché di solito vengo accusato di avere fatto troppo per le pensioni e la lotta alla povertà. In realtà questa manovra spinge verso l’innovazione del sistema produttivo nazionale e la ricerca ma dà anche una risposta a chi è rimasto indietro, a chi non ce la fa. Una manovra che guarda all’offerta dal lato delle imprese e alla domanda da parte dei cittadini più deboli».

La povertà, appunto: è vero che l’ulteriore contributo di 500 milioni già annunciato nella legge delega non arriverà prima del 2018?
«Vero, ma il motivo è tecnico. Il percorso della delega si concluderà a fine 2017 e con questa legge porremo finalmente termine all’assurda anomalia che vede il nostro Paese, unico in Europa insieme alla Grecia, a non essere ancora dotato di una legge per affrontare in modo strutturale la lotta alla povertà assoluta, radicata sopratutto in alcune aree del Sud. Accanto ad essa abbiamo previsto il sostegno all’inclusione attiva: nel prossimo anno faremo partire il reddito di inclusione che coprirà le famiglie in povertà assoluta con minori a carico. E in questo percorso investiremo oltre al miliardo già previsto nella legge di Bilancio anche gli altri 500 milioni».

Basteranno, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la povertà minaccia anche le giovani famiglie?
«Ovviamente dipenderà dalla disponibilità di ulteriori risorse che al momento non posso prevedere. Di sicuro nel Mezzogiorno la povertà ha tracimato dagli argini tradizionali e bisognerà tenerne conto anche se il fenomeno esiste anche in altre aree del Paese. Quando penso però alla legge delega non penso minimamente a politiche di carattere assistenziale, assolutamente no. Tanto è vero che la logica della legge è attiva: ovvero parla di risorse per misure anche di rafforzamento dei servizi del terzo settore che devono essere non solo funzionali alla ricerca di spazi di lavoro ma anche delle esigenze sanitarie ed educazionali dei minori. E aggiungo che con un altro intervento di governance, il fondo per il contrasto alla povertà educativa dei minori, puntiamo a investire altri 300 milioni: i bandi sono ormai imminenti».

Parliamo di pensioni: le ha dato fastidio l’accusa di avere pensato attraverso la quattordicesima e l’Ape solo ad una generazione di pensionandi e pensionati?
«Se devo essere sincero sì. Ma quando un governo come il nostro sceglie di intervenire, sapendo tra l’altro che la Corte dei Conti ha quantificato in 32 miliardi all’anno il valore dei risparmi degli interventi sulla previdenza, a certe critiche si va inevitabilmente incontro. Dovevamo tutelare le fasce di pensionati e pensionandi colpiti dai tagli orizzontali e pesanti di questi ultimi anni, sapendo perfettamente che bisogna tenere in equilibrio i conti e garantire un corretto rapporto tra le generazioni. Con la manovra si torna a investire sulla previdenza compiendo un’operazione di equità sociale».

Ma qual è il prossimo obiettivo? Riformare la riforma Fornero?
«Niente riforma della riforma, tutt’al più una revisione strutturale, come è scritto nel verbale dell’accordo governo-sindacati. Pensiamo soprattutto a due correttivi. Il primo: riconoscere che c’è un tema di adeguatezza delle pensioni per i giovani lavoratori che hanno carriere discontinue e redditi bassi. Dobbiamo riconoscere loro meccanismi innovativi come la proposta di una pensione contributiva di solidarietà che assicuri loro una sorta di tutela minima. Come? Creando uno zoccolo minimo garantito che è legato ai contributi versati ma anche all’età di uscita dal lavoro. Così tutti sapranno a quali condizioni sarà possibile avere un minimo di garanzia pensionistica».

E il secondo correttivo?
«Dobbiamo riconoscere che non tutti i lavori e i lavoratori sono uguali, per esempio rispetto alle speranze di vita che sono un cardine essenziale del sistema. Pensioni e demografia devono restare legate tra di loro, le regole del gioco non vanno cambiate: ma per avere equità sociale dobbiamo tener conto che non tutti hanno le stesse speranze di vita. Ma, come ho già detto, non sarà una controriforma: rispetteremo i cardini che hanno ispirato le riforme delle pensioni, da quella di Dini alle sucessive, ma con meccanismi che riconoscono la diversità dei fattori».

Il 20 novembre in tutto il mondo si festeggia la 26esima Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia.
Nel 1989 l’Onu approvò infatti la Convenzione per la tutela nel mondo del diritto dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC – Convention of the right of the child), ratificata in Italia con la legge 176/1991.

La Convenzione tutela il diritto dei bambini alla vita, alla salute e alla possibilità di beneficiare del servizio sanitario, il diritto di esprimere la propria opinione e ad essere informati. I bambini hanno diritto al nome, tramite la registrazione all’anagrafe subito dopo la nascita, nonché alla nazionalità, hanno il diritto di avere un’istruzione, hanno il diritto di giocare e di essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso.

Nel 2002 sono entrati in vigore anche i due Protocolli Opzionali alla CRC, approvati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 maggio del 2000:

il Protocollo Opzionale sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati (Optional Protocol on Children in Armed Conflict – OPAC )
il Protocollo Opzionale sulla vendita di bambini, la prostituzione minorile e la pornografia rappresentante minori (Optional Protocol on the Sale of Children, child prostitution and child pornography – OPSC ).
L’Italia li ha ratificati con Legge n. 146 dell’11 marzo 2002.

Dal 1989 ad oggi tutti i Paesi del mondo, tranne Stati Uniti e Somalia, si sono impegnati a rispettare e a far rispettare sul proprio territorio i principi generali e i diritti fondamentali in essa contenuti.

In occasione della Giornata Internazionale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, SOS Villaggi dei Bambini ricorda come ancora troppi bambini nel mondo non godano dei diritti che meriterebbero. Ascolto e partecipazione, questi sono gli ingredienti del “metodo di lavoro SOS” che con i suoi 7 Villaggi in tutta Italia accoglie centinaia di bambini privi di cure familiari. E, con un progetto europeo, è stata data voce ai ragazzi che hanno scritto le loro Raccomandazioni alle Istituzioni per un’accoglienza basata sul diritto dei bambini alla partecipazione del loro progetto di vita. Come realizzare i diritti dei bambini che vivono fuori famiglia? Partendo dai bambini stessi. Sembra una frase fatta, ma non lo è. Nel giorno della Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, SOS Villaggi dei Bambini, fra tutti i diritti sanciti dalla Convenzione ONU, mette l’accento sul diritto dei minorenni ad esprimere la propria opinione e ad essere ascoltati. Tradotto nella vita di tutti i giorni, vuol dire che i minorenni fuori famiglia devono essere protagonisti del loro percorso educativo, senza sostituirsi al ruolo degli altri operatori dell’infanzia, dall’assistente sociale fino al giudice del Tribunale minorile. Per dare voce ai ragazzi, SOS Villaggi dei Bambini ha promosso il progetto “InFo – Insieme Formando”, finanziato dalla Commissione Europea, con il quale ha coinvolto 100 ragazzi tra 11 e 17 anni, accolti in comunità di 5 differenti città italiane (Trento, Verona, Roma, Napoli e Cagliari) in diverse attività volte a favorire la loro partecipazione nei luoghi di accoglienza. Il risultato è stato straordinario: i ragazzi hanno scritto nero su bianco delle “Raccomandazioni” alle istituzioni italiane ed europee per un’accoglienza basata sul diritto dei bambini alla partecipazione del loro progetto di vita. In particolare i minorenni chiedono una formazione sui diritti obbligatoria per chi opera nell’accoglienza, di ricevere informazioni e aggiornamenti sulla propria situazione familiare, venendo a conoscenza dei motivi per cui gli adulti hanno preso certe decisioni per loro (e non con loro), manifestano una “forte volontà di partecipare al proprio progetto educativo” e auspicano la creazione di maggiori “contesti di ascolto, anche a carattere collettivo”. “I diritti dei bambini e delle bambine sono diritti recenti e segnano un avanzamento nella storia della civiltà – dichiara Roberta Capella, Direttore Generale di SOS Villaggi dei Bambini Onlus -. Ma sono costantemente a rischio, proprio per la loro costitutiva fragilità: l’infanzia è, per definizione, senza voce. O ha una voce così flebile che per essere ascoltata richiede la disponibilità degli adulti. Nel nostro lavoro, abbiamo deciso di mettere al centro i diritti dei minorenni. Proteggerli e promuoverli è il faro del nostro cammino”. Un lavoro che l’organizzazione porta avanti in 134 paesi nel mondo grazie a 555 Villaggi che garantiscono a quasi 2 milioni di persone una crescita sana in un ambiente familiare amorevole, un’educazione di qualità e la tutela in situazioni di emergenza. In Italia SOS Villaggi dei Bambini, membro dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, aiuta 537 bambini e adulti in 7 Villaggi, situati a Trento, Ostuni (BR), Vicenza, Morosolo (VA), Roma, Saronno (VA) e Mantova, che nel 2015 hanno accolto anche 49 Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA), sviluppando una serie di interventi incentrati sull’accoglienza e sul sostegno all’integrazione sociale.

Sempre più precaria la condizione dei minori in Italia: secondo l’Atlante dell’infanzia di Save the Children, quasi un minore su tre è a rischio povertà ed esclusione sociale, mentre i bambini di 4 famiglie povere su 10 soffrono il freddo d’inverno per la mancanza di riscaldamento. Da una delle mappe dell’Atlante, elaborata dall’Ingv, emerge inoltre che 5,5 milioni di bambini e ragazzi sotto i 15 anni vivono in aree ad alta e medio-alta pericolosità sismica.

Sicilia prima per abbandono scolastico – In Sicilia un giovane su 4 tra i 18 e i 24 anni (24,3%) interrompe gli studi precocemente, fermandosi alla licenza media inferiore, a fronte di una media nazionale del 14,7%. Lo dicono i dati diffusi da Save the Children nel settimo Atlante dell’Infanzia a rischio intitolato “Bambini, Supereroi” e pubblicato per la prima volta da Treccani. Inoltre, circa un alunno 15enne siciliano su 3 non raggiunge le competenze minime in matematica e in lettura e più di 1 bambino o ragazzo tra i 6 e i 17 anni su 2 non legge neanche un libro all’anno. Ad esporre i piccoli al pericolo povertà ed esclusione sociale è anche il titolo di studio dei genitori, almeno per 6 minori italiani su 10, e la Sicilia è particolarmente a rischio, dato che la metà degli adulti dell’Isola tra i 25 e 64 anni è ferma alla licenza media inferiore.

In Puglia bimbi più poveri della media italiana – “In Puglia la percentuale dei bambini e dei ragazzi fino a 17 anni in povertà relativa supera di molto la media italiana: il 32% rispetto al 20%”. A rilevarlo è il settimo ‘Atlante dell’Infanzia’ di Save the children che ha analizzato la situazione italiana relativa alla “infanzia a rischio”. Secondo l’indagine “la povertà diffusa, i servizi mancanti che spesso caricano tutta la spesa sulle spalle delle famiglie, hanno portato il Mezzogiorno d’Italia a percentuali più alte delle medie italiane”. La ricerca sottolinea poi che “i bambini pugliesi dai 6 ai 17 anni che non hanno visitato monumenti o siti archeologici sono più di 4 su 5 (84,4%)”, mentre “3 su 4 non sono andati a mostre o musei (74,3%)”. In Puglia, inoltre, “i dati dei minori in Comuni con dissesto o riequilibrio finanziario sono particolarmente allarmanti: contro una media nazionale del 7,4% (minori 0-17 anni sul totale della popolazione), nella provincia di Foggia i minori che vivono in comuni con dissesto o riequilibrio finanziario sono il 26% mentre in quella di Taranto toccano addirittura il 33,6%”.

In Emilia-Romagna un minore su 10 è in povertà relativa. E’ quanto emerge dai dati del 7/o Atlante dell’Infanzia ‘Bambini, Supereroi’ di Save the Children, quest’anno per la prima volta pubblicato da Treccani. In particolare in Emilia-Romagna, un alunno di 15 anni su cinque non raggiunge le competenze minime in matematica e in lettura. La percentuale di giovani emiliani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente gli studi, fermandosi alla licenza media, tocca il 13,3%, con un’incidenza maggiore tra i maschi (16,4%). Tra i ragazzi della regione, quattro su 10 non hanno letto nemmeno un libro lo scorso anno e sei su 10 non sono andati a teatro.

Il Santo Stefano è il settimo ospedale in Toscana a dotarsi del sistema di «tele-ecocardiografia on-line» per i pazienti più piccoli: si tratta di un teleconsulto in diretta fra specialisti che permette di eseguire diagnosi in urgenza. Questo avviene nel caso di patologie e malformazioni cardiache da accertare in fase pediatrica e neonatale o prenatale attraverso un collegamento a banda larga, sicuro, tra i clinici dell’ospedale del «Cuore» di Massa (OPA) e quelli del Santo Stefano. Prato è entrato, così, nella rete Toscana di telemedicina partecipando al progetto «Arriviamo al cuore di tutti», frutto della collaborazione tra Regione, Fondazione Gabriele Monasterio e Lions Club del Distretto 108La Toscana che hanno finanziato il progetto insieme alla Fondazione Internazionale Lions con una somma di ben 170mila euro.

«Ringrazio tutti coloro che hanno permesso la realizzazione del progetto – dice Roberto Biagini, direttore del Santo Stefano – Un grazie ai finanziatori del progetto, i Lions della Toscana, sempre sensibili verso le esigenze della comunità». «Il progetto è attivo da due anni, è una storia semplice diventata importante sorta dopo una sperimentazione con i paesi dei Balcani – spiega Luciano Ciucci, direttore generale Fondazione Toscana Gabriele Monasterio – Ora si apre la prospettiva di creare una rete non solo in campo tecnico ma anche fra i professionisti che condividono il referto». Il progetto, messo a punto con il Cnr Pisa, ha dato risultati positivi: le altre postazioni sono negli ospedali di Portoferraio, Empoli, Lucca, Arezzo, Firenze e Pontremoli. Presto saranno attivate una a Nottola e una al Versilia.

Il teleconsulto abbatte una serie di disagi, come i trasferimenti dei piccoli,e permette di guadagnare tempo per garantire ai bambini le cure più adeguate per il trattamento della cardiopatia. Il teleconsulto tra gli specialisti si svolge in tre fasi: «Real time» videoconferenza tra ecografista e il consulente con trasmissione in diretta delle immagini ecografiche; «Store-And-Forward» registrazione delle immagini ecografiche ed invio al server per consentire una diagnosi; cartella clinica informatizzata accessibile a distanza nel sistema informatico Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, tutto ciò con l’acquisizione del consenso informato.